La visita alla Galleria Carla Sozzani per vedere le immagini del World Press Photo 2017 è un’esperienza particolare che consiglio a tutti, non solo agli appassionati di fotografia o di giornalismo. Si entra negli spazi bianchi al primo piano di 10 Corso Como, lasciandosi alle spalle il cortile milanese e l’atmosfera elegante ma anche un po’ artefatta dello store e si è catapultati nel centro del mondo. Un viaggio attraverso i fatti più significativi accaduti nel 2016, il racconto di cosa ha significato e significa essere qui, su questa terra oggi. Una sensazione molto potente, che ci fa sentire piccoli e grandi insieme, spettatori e protagonisti allo stesso tempo.
Perché le fotografie selezionate dal World Press Photo, uno dei più importanti premi di fotogiornalismo del mondo, hanno una forza narrativa tale da trascinare chi le guarda dentro la storia, dentro il fatto immortalato in quel momento, dentro le emozioni che ha suscitato nell’uomo o nella donna che ha fatto quello scatto. Il giornalismo nella sua espressione più pura: un fatto catturato nel suo divenire, una storia importante che si racconta in un’immagine.
Le storie appese alle pareti bianche della galleria sono tante: c’è la tartaruga marina impigliata in una rete da pesca abbandonata nelle isole Canarie, c’è il sorriso di Usain Bolt mentre si guarda indietro durante la semifinale dei 100 metri alle Olimpiadi di Rio, il viso stravolto dal dolore di una bambina siriana portata all’ospedale di Douma dopo un attacco aereo, l’eleganza di Iesha Evans, la ragazza afroamericana che affronta i poliziotti durante una marcia di protesta per l’uccisione del nero Alton Sterling, le lacrime di due fratellini nigeriani su una barca nel Mediterraneo al largo di Sabratha, in Libia: negli loro occhi si legge la disperazione di essere rimasti soli al mondo dopo la morte della mamma durante la traversata del Sahara.
“Left Alone” (lasciati soli) è il titolo dell’immagine scattata dallo spagnolo Santi Palacios. La loro storia – che mi è rimasta dentro gli occhi e il cuore – è raccontata nella didascalia che accompagna questa foto come tutte quelle dell’esposizione.
Il percorso della mostra suscita meraviglia per l’energia e bellezza formale delle foto ma anche empatia per le storie degli uomini, delle donne, dei bambini, degli animali narrate dai 45 fotografi vincitori dei premi.
La giuria internazionale di quest’anno, presieduta da Stuart Franklin, fotografo di Magnum Photos, ha esaminato 80.408 immagini scattate nell’anno precedente da 5.034 fotografi provenienti da 125 Stati. I premi sono stati suddivisi in otto categorie, ciascuna distinta in “scatti singoli” e “storie”. Vincitore della Foto dell’anno 2016 e della categoria Spot News, è stato Burhan Ozbilici, fotografo turco dell’Associated Press da 28 anni che, con “An Assassination in Turkey”, ha ritratto Mevlüt Mert Altıntaş l’attentatore dell’ambasciatore russo in Turchia, Andrei Karlov, dopo l’omicidio del 19 dicembre 2016, in una galleria d’arte ad Ankara.
Nell’allestimento della mostra l’immagine è situata al termine del percorso espositivo in una composizione che la accosta ad altri tre scatti. Abbiamo visto tutti decine di volte i video dell’attentato alla tv o nel web ma le fotografie di Ozbilici ce lo raccontano con un’intensità che nessun altro media può riprodurre. Il gesto plastico dell’uomo mentre impugna la pistola, l’eleganza dei suoi abiti, lo sguardo e quel dito indice alzato pochi istanti dopo l’assassinio e appena prima di essere a sua volta ucciso, ci restituiscono un’immagine del terrorismo che può addirittura sembrare propagandistica. Un rischio che Stuart Franklin ha corso consapevolmente perché questi scatti testimoniano perfettamente i complessi rapporti tra Turchia, Russia e Siria.
“La filosofia di World Press Photo è di mostrare tutto o niente – ha raccontato Laurens Korteweg, il direttore dell’esposizione durante la presentazione stampa – e senza censure. E per partecipare al concorso le immagini, in questi tempi di fake news, non devono essere state manipolate e ritoccate”.
La mostra viaggia in 45 nazioni, tra cui Cina, Danimarca, Germania, Italia, Paesi Bassi, Spagna, Emirati Arabi, ed è vista da più di 4 milioni di persone. Ma sono molti i paesi nel quale non è ammessa e spesso proprio quelli dove sono state scattate le fotografie. “La censura ha tante facce – ha proseguito Korteweg -. A quella di alcuni paesi islamici che non hanno ammesso reportage dell’italiano Giovanni Caprioti sui rugbisti gay di una squadra di Toronto possiamo essere preparati ma c’è anche quella più sottile di paesi occidentali che esprimono resistenze di fronte a immagini molto crude. La difesa della supposta sensibilità del visitatore in questo contesto è di fatto una censura. In questi anni dominati dalla cultura del politically correct la famosa fotografia della bambina che corre nuda ustionata dal napalm durante la guerra del Vietnam non ci sarebbe mai stata mostrata”.
La foto d’apertura è Rio’s Golden Smile, del fotografo tedesco Kai Oliver Pfaffenbachdi, Terzo premio categoria Sport.
WORLD PRESS PHOTO ’17
Fotografia e giornalismo
Galleria Carla Sozzani
Corso Como 10, Milano
7 maggio – 11 giugno 2017
Tutti i giorni ore 10.30 – 19.30
Mercoledì e giovedì, ore 10.30 – 21.00
INGRESSO LIBERO
1 Comment
orlando778
8 Maggio 2017 at 16:14Da vedere subito. Baci cara e grazie dello spunto !