Storie

Il racconto: Per favore, niente eroi

Racconto di Marta Santomauro

“Eccolo, ho pensato che se ti piace io te lo regalo. Puoi pubblicarlo tu. Forse una casa se lo merita anche lui.  Se credi che la tua possa essere la casa giusta, volentieri”.

Marta Santomauro mi ha fatto il regalo più bello. Mi ha regalato un racconto. Una storia dedicata a una persona a lei molto cara con la quale ha condiviso un dolore che ha segnato la vita di entrambi. Un atto d’amore che è arrivato fino a me e che spero abbia trovato in La mia Camera con Vista , davanti a questa finestra aperta sul mondo, la casa che merita.

PER FAVORE NIENTE EROI
Marta Santomauro

Gli influssi sono forze – occasioni, personalità –
irresistibili come maree.
Raymond Carver

Mio padre è uno stronzo.
E io mi sparo i soliti cinquanta chilometri su questa provinciale bucata.
Anche stasera, anche oggi.
Ci sono questi imbecilli che vanno a venti all’ora e io non posso superarli perché la strada è stretta e le curve girano a gomito. C’è uno schifo di nebbiolina umida che appanna il cruscotto e non vedo niente, solo nuvole di zanzare nervose più di me, sopra le risaie, e questo inutile passaggio a livello che ci tiene tutti fermi in mezzo al nulla delle campagne, senza che passi mai nessun treno.
È autunno e fa un caldo che sembra agosto, le stagioni stanno impazzendo e mio padre è uno stronzo.
Me l’ha venduta bene questa storia che, lavorando con lui, mi sarei costruito un futuro solido, non serve l’università se hai un’azienda di famiglia che un giorno sarà tua, impari un mestiere, raccogli quello che ho seminato io, diceva.
Mi ha fregato.
Il letame resta letame, non nascono neanche i fiori se non sei capace di rivoltare le zolle. E io, intanto, non so neanche come si smaltiscono gli pneumatici usati, per dire, o quell’olio tossico che abbiamo nel cortile dell’officina. Che cazzo me ne faccio di questa roba?
Mica ce l’ha avuto il tempo di dirmi cosa devo fare, tocca a me inventarmi come smazzare le rogne.

Mio padre è uno stronzo.
E io, a ventun anni, dovrei starmene tranquillo e beato, come i miei amici ventunenni. Iscritto all’università, in giro per concerti ska la sera d’estate, a bere birra e fumare cannoni come non ci fosse domani, tanto gli esami sono a gennaio, c’è tempo. A litigare con la fidanzata per l’Erasmus a Barcellona, si sa che le storie finiscono sempre male quando ci sono gli Erasmus di mezzo. A ripetere ogni giorno quanto sono stronzi i miei genitori che neanche mi prendono il mac, il mac serve se vuoi fare il designer! Voglio fare pure io il designer! A programmare il viaggio ad Amsterdam in primavera, e sono tre anni che sogniamo il viaggio ad Amsterdam, i funghetti, i coffee shop, e pure il museo di Van Gogh, così Claudia non rompe…
È bella la vita dei ventunenni.

Mio padre è uno stronzo.
E dopo aver litigato con le guardie all’ingresso, fatto la gincana tra pedoni imbecilli che non guardano neanche dove vanno, trovato un diavolo di parcheggio che pare di essere al centro commerciale di Carugate il sabato pomeriggio, mi impiastriccio pure le mani di amuchina. Mi sale il vomito per colpa di quella roba secca e viscida e l’odore di grasso dei motori non si toglie lo stesso dalle dita. Respiro disinfettante e mi riempio gli occhi di verde e teste pelate, bevo caffè di merda da macchinette automatiche di merda.
Per colpa sua, che ha pensato bene di farsi un soggiorno qua dentro e mollare a me i problemi, ho una tachicardia che non ci dormo la notte e neanche mi faccio di coca. La sera mi butto sul divano, svengo ogni due ore con la televisione che parla a raffica, il mio letto l’ho ceduto ai fantasmi.
E mi sorbisco pure le menate di Claudia, che non sto mai con lei, che non capisce cosa mi succede, che non parlo e che non sa dove vado ogni giorno dopo il lavoro.
Che tra un po’ mi lascia.
Mi lasciasse, porca troia, almeno avrei un problema in meno.

Mio padre è uno stronzo.
Lui e i suoi inutili valori dorati, la famiglia, l’onestà, il lavoro, il rispetto e tutto il resto. Sono quello che dà ricchezza alla vita, ha sempre detto, con le spalle grandi che si alzavano fiere.
Mi ricordo questa cantilena da quando ero bambino. La ripeteva come un mantra, mentre facevamo i buchi nel terreno con la zappa per piantare patate gialle, la domenica in campagna. La ripeteva, orgoglioso, mentre apriva il cofano della Delta HPE rossa e mi insegnava come si fa a smontare il motore di un’auto, lucidava valvole, pistoni e cilindretti come fossero vasi d’argento. La ripeteva, nero in faccia, quella volta che mi ha beccato mentre gli fregavo le monetine dalla giacca per comprarmi le sigarette, Luca, tuonava. E volavano gli schiaffoni da quelle mani dure di calli, devi imparare a stare al mondo come si deve, mi diceva. E volavano gli schiaffoni.
Mi ci pulisco con questa roba.
Intanto, adesso ce le ho io queste tre sul groppone, mamma e sorelle, mica lui. E come le tieni le femmine quando perdono il controllo, diventano inutili, frignano e basta. Non fanno più la spesa, non mi lavano le camicie e io le devo pure scarrozzare avanti e indietro da questo posto, che da sole sulla strada rischiano di infilarsi dentro ai fossi o nel culo di qualche camion. Hanno il potere di dire sempre le cose sbagliate e fissano il vuoto come se ci fosse proiettato dentro un film dell’orrore. Sono alla deriva, nelle grinfie di quello che succede giorno dopo giorno. È questa la famiglia.
E pure i clienti. Spiegaglielo tu al signor Fugazza, gli direi, che è onesto il prezzo che gli ho fatto per il tagliando a quello schifo di Fiesta, le automobili mica si riparano con l’aria fresca, costa il lavoro degli operai, costano i ricambi, basta guardare la fattura! Mica siamo ladri qui, facciamo il nostro mestiere, ognuno faccia il suo, lei che cazzo di mestiere fa? E il carrozziere che si è innamorato e vuole andare in vacanza mentre siamo indietro con tutte quelle macchine bozzate dalla grandine, la segretaria che si ruba i soldi dalla cassa e crede di farmi fesso, il meccanico con il mal di denti, la banca che mi sta sul collo per quel maledetto fido sempre sull’orlo, e chi più ne ha, più ne metta. È questo il lavoro.

Ma mica mi ascolta. Se mi ascoltasse si infurierebbe pure lui, ma io parlo e neanche mi sente.  Preso a fare l’eroe di non so più che cosa. Impegnato a difendere una fortezza già assediata e in fiamme.
Per favore papà, gli direi, stasera niente eroi.
Ma non mi sente.

Mio padre è uno stronzo.
Perché adesso so che è solo un uomo normale.
E a sessant’anni si sta facendo divorare le ossa da uno schifo di cancro che in un mese lo ha ridotto in poltiglia. Respira ossigeno secco dentro tubi verdi, mangia attraverso le braccia e non riesce neanche a girarsi in questo orribile letto di ferro. I suoi occhi sono diventati enormi, dentro la faccia rosicchiata, e non ha voce per chiamare l’infermiera quando si fa sotto, gli hanno messo il pannolone.
Mio padre è solo un uomo normale.
E allora sono tutte cazzate, gli eroi non esistono e la vita è una schifezza che va ingoiata col naso tappato. L’integrità, il rispetto e i valori onesti servono solo a consumarci l’esistenza preoccupandoci di non essere mai abbastanza giusti, a farci ammuffire la coscienza. Si risucchiano il tempo che potremmo dedicare a vivere sereni quel poco di vita che abbiamo, a farne quello che ci pare, a prendere tutto, a farlo subito. Perché un giorno che non ti aspetti, qualcosa che non hai deciso tu si ribella e ti mangia in un boccone.

Mio padre è uno stronzo, ve l’assicuro.
Perché stasera, al massimo domani mattina, muore.
E, adesso, ditemi io che cazzo faccio.

Marta Santomauro, libraia alla libreria Gogol & Company di Milano, è una scrittrice. I suoi racconti sono stati finalisti o vincitori di concorsi letterari come Subway 2013, il Premio Straparola nel 2014, Racconti nella Rete 2013 e altri pubblicati su riviste di settore. Alcuni li trovate nella sezione Raccontami una storia del suo blog.

 

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