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Abiti da Lavoro: la mostra sul lavoro che non c'è

Non mi era mai successo di visitare una mostra e di sentirmi a disagio. E’ successo alla Triennale di Milano in occasione dell’esposizione Abiti da Lavoro, inaugurata nei giorni scorsi e aperta fino al 31 agosto. Avevo letto molte segnalazioni e mi aveva incuriosito una delle immagini utilizzate per promuovere l’evento, quella di una donna vestita di rosso e pois bianchi e il viso coperto da una casetta in tinta. Chissà che occupazione avrebbe rappresentato? Interessante anche l’elenco dei 40 progettisti che avevano contribuito all’esibizione: da Alberto Aspesi a Nacho Carbonell, da Elio Fiorucci ad Alessandro Mendini, da Issey Miyake a Nanni Strada ad Antonio Marras a Rosita Missoni, solo per citarne alcuni.
Hanno tutti aderito all’invito del curatore Alessandro Guerriero a inventare degli abiti da lavoro. I loro schizzi sono stati trasformati in cartamodelli dai ragazzi dell’associazione Tam-tam e quindi trasmessi ad Arkadia Onlus, dove un gruppo di persone con disabilità li ha trasformati in abiti veri e propri. Abiti da Lavoro, appunto. Interessante.
Eccomi quindi davanti alla vetrata gialla che introduce alla mostra.IMG_20140630_181432-2Varco la porta e sono sola nello spazio espositivo, se si esclude l’addetta al controllo. Sulla parete di sinistra il pannello introduttivo, con un breve testo sul progetto e la sua finalità sociale. Poi una pila di fogli in formato A3 con la pianta dell’esposizione dove sono posizionati dei numeri in ordine casuale che rimandano all’elenco, questa volta progressivo, degli autori e del titolo delle loro opere. Fine delle informazioni?
Chiedo alla ragazza che sorveglia la sala se ci sono altri testi da consultare ma mi risponde di no. Beh, capisco che il n. 40, che è il primo, si riferisce alla tuta oro di Issey Miyake, intitolata “Extreme Film, Men AW/13 Collection”. L’indicazione la ricavo dall’elenco sul foglio A3. Nient’altro. Lo steso dicasi per la seconda opera (n. 39, Andrea Salvetti “Grembiule per lavori normali”), per le altre due posizionate nella prima sala e per tutte le altre dell’esposizione.
Mentre mi aggiravo tra quelle installazioni mute, mi sono sentita più sperduta di un disoccupato all’ufficio di collocamento. Che cosa dovevo fare? Guardavo gli “abiti”, vedevo che erano realizzati con perizia e cura, ma cosa dovevo  pensare? Non mi è stata di conforto neanche ritrovare il manichino della donna con l’abito rosso a pois e la casetta infilata sulla testa. Ho appreso essere l’abito da lavoro ideato da Guda Koster (Red with White Dots 2012). Mi è sembrato la metafora della difficoltà della donna a trovare un impiego: se ne sta lì tutta vestita carina ma è cieca rispetto alle prospettive,  forse perché ha in testa solo una bella casetta. Ma non so che cosa volesse intendere il suo autore. Anche perché il catalogo della mostra era disponibile solo nello store della Triennale, e non negli spazi espositivi.

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Fatto sta che da questo punto in avanti ogni abito da lavoro mi è sembrata la metafora dell’assenza del lavoro stesso, di una sua concretezza, di un suo progetto reale. Ho pensato che ognuna di quelle opere sarebbe stata l’immagine perfetta di apertura di un articolo sulla crisi dell’occupazione se ne avessi potuto curarne uno.
Mi sono sentita circondata da fantasmi, in uno spazio vuoto e senza parole. Ho avvertito un forte senso di disagio e di irritazione. Se l’arte deve essere anche provocazione, la mostra Abiti da Lavoro, ha raggiunto con me il suo scopo. Forse era anche questa la reazione che i curatori cercavano. Forse il lavoro è un tema molto sensibile… Non so, davvero.

Saperne di più

Abiti da Lavoro (Workwear)
Dal 24 Giugno 2014 al 31 Agosto 2014
Triennale di Milano
Curatori: Alessandro Guerriero
Costo del biglietto: € 6/5/4; biglietto per tutte le mostre € 10
telefono per informazioni: +39 02 724341
Email info: info@triennale.org
Sito Ufficiale: http://www.triennale.it

 

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