Mi piace iniziare ogni volta l’anno con una storia bella, meglio se racconta il coraggio delle donne. E quindi il 2020 inizia con Valeria Sechi: 53 anni, cinque figli, la mattina fattorino, il resto del tempo blogger con 14.500 follower su Instagram sul profilo Vale_greymodel. Armata di chioma grigia, sorriso e molto acume, dopo avere osservato che il fenomeno delle modelle overanta, Valeria a 50 anni ha coronato il sogno di diventare a sua volta modella, per promuovere un concetto di bellezza senza età. Partendo da questo obiettivo Valeria è diventata un personaggio noto sui social dove si racconta nei tanti aspetti della sua vita.
Una così io mi sarei limitata a seguirla, come faccio con altre influencer della mia età, donne consapevoli e brillanti che popolano il web e i social. Perché mi sono appassionata a Valeria Sechi al punto da volerla conoscere e intervistarla? Perché su Instagram, dove tutte si cerca di dare l’immagine migliore di noi, lei non usa filtri. E racconta con ironia impareggiabile la sua vita “diversamente facile”, ovvero quella di una donna separata con cinque figli di cui tre ancora a carico e un lavoro part-time che le dà vivere ma non le permette certo l’acquisto di abiti, cosmetici e i viaggi che sono i contenuti quotidiani offerti su social dalle altre blogger. La casa di Valeria, come dice lei, “è tenuta su a scotch, sputo e speranza (molta speranza)”. Le sue story su Instagram iniziano con un saluto alle follower (Buongiorno Formiche belle!) dal bagno di casa durante il “restauro” del mattino prima di recarsi al lavoro e accompagnare a scuola Maddalena, la figlia più piccola affetta dalla sindrome di Down: “diversamente abile, o come dico io, abilmente diversa”, scrive Vale sul suo blog Materia Grigia.
Perché il tratto distintivo di Valeria, e il motivo per cui io la seguo e vi parlo di lei, è la sua capacita di trovare sempre il lato divertente e positivo delle cose, per andare avanti, per sperare e sorridere. E così la macchina utilizzata per andare al lavoro (la Grey Mobile) va a pezzi ma è descritta come un’opera di Cattelan, la complessa apertura delle portiere diventa un’esperienza catartica, in casa non si ammala nessuno perché la muffa sui muri funziona da penicillina. Valeria è una resiliente pura che in mezzo a tutte le sfighe ha avuto in dono la vocazione alla felicità.
“Non sono io speciale o particolarmente forte – mi risponde lei quando le chiedo come tiri fuori tutta quell’energia – Sono assolutamente convinta che dentro ognuno di noi ci siano risorse inimmaginabili alle quali non attingiamo, o perché non se ne presentano i motivi o perché ci facciamo sopraffare dalle contingenze”.
– Come nasce il tuo ottimismo?
“Non sono sono stata sempre ottimista, anzi durante l’adolescenza in Sardegna, in una condizione famigliare molto difficile, ho avuto crisi profonde ma fortunatamente mi sono presto resa conto che se non potevo decidere io quello che mi poteva capitare, potevo scegliere come affrontarlo. L’ottimismo non è un dono ma una scelta. Una scelta che io compio in ogni singolo momento, in ogni singola occasione, anche le più difficili. Quando mi si presenta un problema, con un atto ferreo di volontà mi sforzo di vedere il lato positivo e questo punto di vista cambia la prospettiva completamente. Io sono nata nei problemi: in Sardegna vivevamo sotto sfratto, ho la maturità classica ma solo da ragazzina ho capito che gli abiti potevano essere anche comperati perché avevo indossato sempre solo abiti dismessi da altri. Mi sono sposata per amore ma anche per fuggire dalla mia condizione per poi scoprire una volta a Brescia al seguito di mio marito, che avevo scelto un uomo che, come mio padre, non aveva alcun senso del denaro e questa condizione mi angosciava moltissimo. Sono cambiata da mamma quando, alle prese con i primi due figli, mi sono vista già come mia madre: una donna in gambissima ma vinta dalle difficoltà. Non volevo proporre quello stesso modello ai miei figli e mi sono detta: saremo sfigati tutta la vita ma almeno degli sfigati felici! Siamo noi che scegliamo come giocare le carte che ci vengono date: o si decide di buttarle rinunciando a giocare – ma questo è un suicidio – oppure di prendere in mano le redini e di vivere le cose secondo la nostra chiave di lettura”.
– Che cosa significa nei fatti?
“Ti racconto cosa ho fatto la mattina quando ci hanno pignorato i mobili e tagliato la corrente? Al momento ho provato uno sconforto cosmico, poi mi sono costretta a reagire. Mi sono imbellettata e vestita, sono andata a prendere i figli a scuola e ho detto loro: ‘Ragazzi ho una bellissima sorpresa! Abbiamo un open space da paura dove giocare a pallone in sala!’. E insieme, con il sorriso, abbiamo trovato il modo di affrontare anche il taglio della corrente come una gara di resistenza di tre giorni. Trovare il lato positivo non è una passeggiata, soprattutto con i miei problemi. Nella mia vita la prima necessità è stata riempire il frigo. Ho rotto con il mio ex marito dopo 32 anni di relazione, ho fatto 12 traslochi e una marea di lavori: colf, badante, hostess, venditrice porta a porta, telefonista, ho lavorato in un’azienda agricola e per un anno nei mercati rionali. Maddalena ha la sindrome di Down. Ma ho affrontato questa sua realtà come una grande opportunità, per me e per gli altri miei figli, di leggere la vita con uno sguardo diverso. Maddalena alla fine è una persona come tutti gli altri, che ha limiti e pregi: io punto sui suoi pregi, non mi focalizzo sui suoi limiti! Lei è conscia di essere una bambina Down ma sa anche di essere Maddalena e, come le ho sempre insegnato, rivendica il diritto di essere stessa, non la sua sindrome. Trovare il lato positivo delle cose è uno sforzo anche doloroso che compi nel momento di massima difficoltà ma che poi ti gratifica e ti appaga. Lo paragono alle doglie del parto: devi spingere e provi un gran dolore ma poi hai la gioia di un figlio”.
– Su Instagram racconti i tuoi sogni: diventare modella, aprire il laboratorio di sartoria dove creare e vendere le tue gorgiere fatte con le cravatte di recupero. Come riesci a sognare con una quotidianità così impegnativa?
“A chi mi chiede come e perché mi dia tanto da fare dato che ho cinque figli, rispondo sempre che i figli sono una risorsa, non un freno. Io ho diritto ai miei sogni, anche e proprio perché sono madre. Al progetto del laboratorio per la realizzazione delle gorgiere ho dedicato la mia tredicesima e tutti gli introiti derivati da vari lavori e collaborazioni. Avrei potuto comprare l’agognato forno che manca nella mia cucina ma ho deciso di seguire il mio sogno. Coltivo il progetto del laboratorio da più di dieci anni e in fondo anche l’attività di modella, oltre alla possibilità di migliorare i miei introiti, è finalizzata a creare intorno a me una comunità di persone che poi possano capire e sostenere il mio progetto, perché lanciare la mia linea di accessori dal nulla non è possibile. È una vita che lavoro con i materiali di recupero, sono convinta che il riciclo sia il futuro perché potremmo campare di quello che buttiamo. Credo che il valore di un oggetto sia nella sua storia e nella sua originalità e che questa sua unicità sia il vero lusso. Da oltre dieci anni colleziono cravatte, ne ho a centinaia, tutte di materiali pregiati e posso realizzare accessori di ogni tipo. Per ora le stole e le gorgiere: ognuna unica, con la sua etichetta cucita a mano. Mi piace pensare che siano oggetti che raccontano affetti. Come è successo per l’amica che mi ha portato le cravatte del padre scomparso da poco e che sono diventate una gorgiera che lei ha regalato per Natale alla sorella e dove sull’etichetta era cucito il nome del papà. Credo moltissimo alle potenzialità del mio laboratorio e lo lanceremo con il sito Vipuntozero tra pochissimi giorni”.
– Anche per questo sito ti aiuterà il tuo compagno, che tutti conosciamo come il C.O.M.A.N.D.A.N.T.E., vero?
“Sì la mia immagine, le foto stilose, il progetto dei siti che seguo, sono curati dal Comandante con il quale da pochi giorni abbiamo festeggiato quattro anni insieme. Fabio è stata la sorpresa della mia vita. Quando mi sono separata avevo – come dico io – le pezze al culo, cinque figli di cui una disabile e una diversamente etero (ride). Ero alle soglie dei cinquant’anni: anche se avvolta dall’amore della mia famiglia, nonostante il mio inguaribile ottimismo mi sentivo condannata alla solitudine dal punto di vista sentimentale. Poi c’è stato l’incontro con Fabio, tramite un’amica con la quale collaboravo per il suo laboratorio di sartoria. Lui è un professionista della comunicazione digitale. Ci serviva un sito e con Fabio ci siamo accordati che lui lo avrebbe fatto gratis in cambio del fatto che io – che per anni avevo collaborato nello studio del mio ex marito ingegnere edile – seguissi l’allestimento e la sistemazione della sua nuova, prima casa. Ci vedevamo tutti i giorni ed è scattata la scintilla: per lui dell’autolesionismo, per me della speranza! Fabio è un compagno fantastico che mi sostiene in maniera totale e concreta. E non solo per il sito: per un anno sono stata senza macchina e lui ha scorrazzato tutta la mia famiglia tra scuole e palestre. Ha 40 anni, è figlio unico di famiglia benestante, non ha figli: con me ha preso anche tutta la mia complicata situazione. Ridiamo tanto insieme, ci divertiamo in tutto quello che facciamo. Lui ha aderito totalmente alla mia vita, l’ha fatta sua ma ha portato nella mia tanto equilibrio. È bravissimo non solo a starmi accanto, ma se necessario a spingermi o a precedermi per evitare che io, con la mia esuberanza, mi schianti. Il suo rapporto con i miei figli è molto buono. Con il tempo sono riuscita a costruire una famiglia allargata: ora alle feste ci sediamo tutti insieme a tavola con i ragazzi e Fabio ma anche con il mio ex marito e la sua compagna. Abbiamo raggiunto una serenità alla quale tengo molto. Credo che le cose ci capitino non solo per noi, ma anche per gli altri. Prendiamo e restituiamo, la vita è osmosi”.
1 Comment
patrizia
2 Febbraio 2020 at 20:20La seguo su Istagram. Donna davvero eccezionale, fantastica.